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Visualizzazione dei post da aprile, 2024

Dai monti

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  Anna, questa sera c’è la festa del paese. Io già ti vedo che balli sull’aia, con zio Alfredo che suona l’organino e i vecchi che sono rimasti di guardia a quelle poche cose, laggiù. Ti vedo col vestito bianco a fiori, che provi a sorridere con quegli occhi neri che mi incantano da sempre. Anna, qui in montagna la sera fa freddo, ma non è tanto quello, né questo vivere come bestie braccate. E’ la paura, che sai, io ce l’ho addosso come tutti. Qui nessuno si sente un eroe: ogni folata di vento ogni sussurro del lupo mette un brivido, finché non siamo certi che non ci sia dietro una trappola, una vigliaccheria di uomini. Anna, giù in paese la musica è diversa, non mi piace la gente che sì è messa a dirigerla. E a loro non piacciono quelli come me, che vogliono continuare a pensare con la loro testa. Lo sanno bene che per imprigionare un popolo si comincia sempre dal pensiero. Anna, sono quassù per questo. Perché tu domani possa ballare nell’aia con

Giorno di festa

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  Qualcuno arrivò da San Lazzaro, altri scendevano dalle Orfanelle parlando una lingua straniera, e dalle strade d’Appennino sbucavano volti conosciuti che non incrociavamo da tempo. Avevano addosso panni pesanti inumiditi dalle notti in collina, parlavano di futuro e sorridevano. Poi ci ritrovammo tutti in piazza, ballammo e cantammo fino al tramonto e nessuno aveva voglia di rientrare, perché era la prima notte che il cielo non faceva più paura, era bello stare lì a respirarla. Dopo, lo sai quello che è stato. Chi aveva ideali veri ha continuato a duellare coi mulini. Tutto più semplice per chi era uscito dalle cantine unendosi alla festa. Credevamo di aver costruito qualcosa intorno alla memoria, ma persa quella si riparte sempre dal via. Strana specie di monòpoli, la vita. Ma quel giorno fu speciale. Le feste riescono meglio quando nessuno le organizza. Tutti quei suoni e quegli abbracci, tutta quella gente per strada, non ho mai più sentito così spe

Passeggiando

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  Dottoressa, come faccio a spiegarti che questa città in cui sei straniera - perché non sai trovare casa nè radici, ed è così da sempre - è così piccola, una specie di enorme paese, e allora tocchi vette di goffa comicità ogni volta che incroci e fingi di non vedere e non conoscere quello che ben conosci, perché tu lo hai cercato e tu lo hai bruciato dissertando di amore e altre cose a te sconosciute. Dottoressa, davvero è tutto così ridicolo e banale, quasi più della tua stessa ridicola e banale esistenza.

Cosa stiamo facendo?

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  Cosa stiamo facendo? Niente che non possa essere dimenticato in un istante, se va bene magari due. Dimentichiamo volti che ci sembravano incancellabili, momenti unici, gente speciale, dimentichiamo anche di aver sognato, proprio ieri o tanto tempo fa. Un campo di girasoli al tramonto, una quiete nel buio, là dove si può immaginare la città illuminata e lontana. Dimentichiamo di avere questa condanna a tempo sulla testa, le spalle eternamente appesantite, un passo sgangherato. Ci sentiamo magnifici, scambiamo la nostra banalità per qualcosa di eterno, scivoliamo sugli errori di sempre. Cancellare è così comodo, così confortante. Cosa stiamo facendo? Cosa abbiamo fatto? Piccoli movimenti del corpo, del cuore, che il vento ha già spazzato via. Traslochiamo altrove i nostri pensieri.

Le bombe

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  Abbiamo colpito il treno ci dispiace è stato un errore. Abbiamo colpito quei profughi ci dispiace un altro errore. Abbiamo colpito il ponte la gente non si vedeva. Abbiamo colpito l’acquedotto non è stato un errore ma ci dispiace. Abbiamo colpito l’ambasciata ci dispiace un altro errore. Abbiamo colpito il paese sbagliato non era previsto. Avevamo già colpito altre cose sbagliate un aereo passeggeri una scuola. Questa volta le ragioni per colpire quello che cercavamo di colpire erano buone. Cercavamo di fermare le cose terribili fatte a gente innocente. Le cose peggiorarono per quella gente col nostro intervento il che prova che avevamo ragione. Ma naturalmente non siamo capaci di pensare a ciò che è giusto o ciò che è sbagliato. Dicono che siamo intelligenti ma le bombe non sono fatte per pensare. Ci dispiace ci siano stati errori ma noi da sole non possiamo fare errori. Eseguiamo solo ordini. Facciamo quello che ci viene detto. (Martha Collins)

Suggerimenti

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  Liberati. Smetti di vivere negli angoli. O in quella specie di pantano che ti ostini a chiamare “comfort zone”. Esci. Respira. E’ inutile chiedere tempo, rispettare il tempo che non rispetta te. Il tempo non è eterno. Sai, potrebbe fermarsi domani. O tra un minuto. O tra un respiro. Fattene una ragione: è buio nei sottoscala della vita. Ci fa troppo freddo. Ci si incurva, si ingrigisce. Tocca riempirsi di antidolorifici. Non è roba che meriti. Che effetto fa sognare un porto dentro una stanza umida, niente finestre né riscaldamento? E piove sempre, maledizione. In qualche modo, dentro o fuori di te, piove in continuazione. Fai così: domani apri la finestra e vola via. Semplice. Liberati. Smetti di vivere negli angoli. (mt)

Cosa sta succedendo?

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  Madre, madre, sono troppe quelle che piangono come te Fratello, fratello, fratello, troppi quelli che muoiono come te Sai, dobbiamo trovare un modo per portare un po' di amore qui oggi Padre, padre , n on serve far inasprire le cose Vedi, la guerra non è la risposta, perché solo l'amore batte l'odio Ecco, dobbiamo trovare un modo per portare un po' di amore qui oggi Picchetti e cartelli , n on punirmi brutalmente Parlami, così saprai quello che sta succedendo Proprio così tesoro, proprio così Marvin Gaye (Marvin Pentz Gay jr.) 2 aprile 1939 – 1 aprile 1984