Le luci della fiera


Nonno Mario mi portava alla Fiera di Santa Lucia.
Ci trovavo i moretti, e ci sono ancora. Impazzivo per quella spuma bianca che a pensarci oggi, boh, chissà dove la producono e come.
Doveva essere l’anno 52, o 53, prima dell’Era dei Taglieri.
Ero un bambino solitario, anche quando stavo in mezzo agli altri. E ridevo, e partecipavo, e tutti pensavano fossi tutta un’altra roba. E a me andava bene farglielo pensare.
Ero un bambino vecchio.
Sono un vecchio bambino.
In fondo, cosa cambia?
Ci torno ogni anno. Per ritrovare Mario, che alla fine era il padre che non incrociavo quasi mai. Anche se poi alla fine l’ho trovato e capito, ma è stato altro. Siamo stati ragazzi insieme. Forse bambini insieme, che altro non potevamo essere e ci andava bene così.
Invece, Mario: le sue canzoni fischiate, la sua Parilla che avrei voluto rimettere in viaggio, l’odore del suo giaccone di pelle, il vino comprato a damigiane dal contadino di Castello, ogni anno sempre peggio anche se lui si metteva a tavola da solo e se lo diceva ad alta voce, che era buono. “S’lè bòn..”. Doveva convincere soprattutto sé stesso.
E poi i racconti di una guerra che era qualcosa di lontano: da bambino vedi solo il colore del sangue, che è rosso acceso, non senti l’odore di morte, non capisci lo schifo. Ma poi, a pensarci, la guerra è sempre qualcosa di lontano, anche adesso che è lì, dietro casa, fuori dalla porta. Ci si abitua, alla guerra intorno.
Tutto diverso, tutto così uguale. Ci torno ancora alla Fiera di Santa Lucia, ma adesso passo veloce, tiro via, mi sento a disagio. Eppure eccomi qui, dove tutto sembra ripetersi: le luci sparate, le statuine del presepe girate nella stessa direzione, i sorrisi stanchi e i bambini da tener d’occhio, il Natale alle porte e le speranze addomesticate. E poco più in là, tavoli in mezzo al portico. La monotonia di altri taglieri.

 

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