Il solito angolo
Ho sessantun anni. Da qui in avanti
devo evitare certe botte di nostalgia,
tutto giusto, ma lo sguardo indietro
voglio ancora buttarlo, accidenti,
ci sono momenti
che sarebbe un delitto cancellare,
me li voglio godere fino in fondo,
fino al giorno che verrà,
perché sono io che li ho costruiti.
Non importa
se chi stava lì se ne è dimenticato
ognuno si incammina
come vuole, nella sua storia,
la disegna a sua immagine, sfiga
se ne esce una brutta caricatura.
Ho sessantun anni e la memoria
è tutta la mia ricchezza. Ecco,
se me la toglieranno allora sì
che mi mancheranno
un po’ di pezzi del mosaico,
che capirò cosa significa davvero
la solitudine.
Adesso, vedi, è tutto ancora acceso.
Per dire, ne avevo ventuno
quando in quell’angolo ci trovavamo
a vestire di blues i soliti accordi
- cinque, sei al massimo -
e riuscivamo a colorare la vita, prima
che ci passassero sopra con un rullo
di vernice grigia.
Mi sembra sia successo un mese fa,
che dico, nemmeno, due settimane
al massimo. Ed è così, esattamente
anche se sembra tutto cambiato,
dove stavamo seduti ora ci sono
i tavolini dell’apericena, e turisti
che divorano estasiati
tortellini immangiabii. E la luce
del sole che sta tramontando
entra di taglio sotto il portico,
proprio come quando
non era patrimonio Unesco.
Ho sessantun anni e non cerco
il senso delle cose, se è così
significa che così doveva essere,
che le sere dovevano riempirsi di gente
che non sa che farsene del tempo,
mentre noi lo gettavamo allegramente,
attaccando un altro pezzo,
cercando la prossima stella.
Non ha senso domandarsi
perché non sia mai arrivata,
o sia passata senza vederci, lì, intenti
a cercare le parole. Tutto si sistema,
un volto dopo l’altro, una frase
attaccata alla precedente. Noi siamo qui
a tenere tutto insieme, finché qualcuno
non verrà a darci il cambio.
(mt)
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