Bonatti, un grande italiano


"…nella polemica con Bonatti e Compagnoni ha sempre guardato dall’alto, con un sorriso. I due mordevano, lui sorrideva. Compagnoni si spartiva la gloria... Gli altri erano giganti della montagna e però bonsai della vita. Lacedelli invece si scrollava di dosso le polemiche come il cane si scrolla l’acqua dal pelo".
Mauro Corona ama le frasi a effetto, ama, come dice spesso , "togliere anziché aggiungere, come si fa nella scultura e come si dovrebbe fare nella poesia".
Ricordando Lino Lacedelli, ha detto dell’uomo e dell’alpinista cose molto belle, e giuste. Ma non ha fatto altrettanto su Walter Bonatti. Che non mi pare un "bonsai della vita", ma un uomo di grande rigore morale, di scelte coraggiose che spesso lo hanno isolato, perché il "sentire comune" non sempre sposa gli uomini scomodi.
La storia è vecchia, di cinquantacinque anni. Ma è questa, ora lo hanno riconosciuto anche le autirtà della montagna, anche se dopo più di mezzo secolo.
Sul K2 Bonatti fece quello che sappiamo. Lavorò per la riuscita della spedizione con la sua energia inarrestabile, oltre l’immaginabile. Arrivò oltre quota ottomila, con l'hunza Mahdi, per consegnare le bombole a ossigeno per il tentativo finale di Lacedelli e Compagnoni. Era il più in forma del gruppo, avrebbe potuto arrivare lui sulla vetta. Ma non arrivò fin lì per questo, ma per dare l’ultimo importante aiuto ai compagni. Rispettoso delle gerarchie. Forse furono loro, in qualche modo, a temere l’ammutinamento. Sia come sia, Bonatti non li trovò perché non erano dove avrebbero dovuto essere, secondo i piani concordati.
Per Corona, immagino, su questi fatti i "bonsai della vita" hanno innescato polemiche.
Ma la faccenda è più complessa. Bonatti e Mahdi, alla vigilia del "grande trionfo italiano", rischiarono la vita. Passarono la notte all’addiaccio, oltre gli ottomila metri, senza ossigeno, senza riparo. Nel 1954. E nonostante tutto questo, una volta uscita la relazione ufficiale di Desio, Bonatti non alzò la voce. Restò in silenzio, seppure provato, ferito come deve sentirsi un amico tradito. La sua diffidenza per un ambiente, per i suoi protagonisti, nacque quella notte. E’ comprensibile.
Bonatti non si pronunciò. Per dieci lunghi anni. Si limitò a scegliere imprese in solitaria, al massimo con pochi fidatissimi amici, trovando nella solitudine maggior conforto alla compagnia.
Finché un articolo, su un quotidiano (la Nuova Gazzetta del Popolo) ribaltò tutta la storia. Nel 1964, dieci anni dopo. Diceva che Bonatti aveva consumato buona parte dell’ossigeno riservato ai due lassù, e quell’affermazione diede la stura a una serie di inesattezze, ingiustizie, colpi bassi che riaprivano vecchie ferite. Solo allora Bonatti reagì: fece causa all’autore dell’articolo, e la vinse. E iniziò una battaglia perché la verità venisse a galla, tutta intera. Non cercava gloria per sé, o considerazione per il lavoro che aveva fatto, fondamentale per la riuscita dell’impresa. Solo che fosse pubblicata tutta la verità su quella notte.
Lacedelli è stato il primo, già a metà degli anni Novanta, ad ammettere che "la decisione di fermarsi più su rispetto a quanto concordato con Bonatti non fu saggia". Oggi chi vuole può conoscere la storia di quel successo, di come è maturato. Può farsi un’idea. La mia è che Walter Bonatti, per quello che ha fatto in quei giorni, per le imprese successive, per il suo spirito curioso e avventuriero, per la coerenza della sua vita, sia stato e sia un grande italiano.


"Quella notte sul K2, tra il 30 e il 31 luglio 1954, io dovevo morire. Il fatto che sia invece sopravvissuto è dipeso soltanto da me... "
Walter Bonatti


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