Lacedelli, antieroe nella leggenda
"Noi dovevamo essere preparati all’ignoto. Nessuno ci aveva preceduti"
Lino Lacedelli
In questo 2009 infausto per la gente di montagna (il Broad Peak si è preso Cristina Castagna, il Langtang Lirung lo sloveno Tomaz Humar, per non dire dei tanti nomi sconosciuti ai più), se ne vanno anche le antiche leggende. Riccardo Cassin si è spento in una serena vecchiaia, a cent’anni compiuti, Achille Compagnoni ne aveva 94 quando se ne è andato per sempre, nel maggio scorso.
Ora lassù lo ha raggiunto Lino Lacedelli, che con lui fu il primo a raggiungere la cima del K2, nel 1954. Un "eroe italiano", non per scelta, col suo carattere schivo e mai incline al protagonismo. Per necessità, semmai, di un’Italia che aveva bisogno di eroi. Che, uscita malconcia da una brutta guerra, ancora cercava grandi gesta e grandi uomini a cui aggrapparsi per uscire dal dolore, dai ricordi. Per lasciarsi tutto alle spalle.
La televisione era arrivata il 3 gennaio di quell’anno, Lacedelli e Compagnoni arrivarono sul secondo Ottomila del mondo il 31 luglio. E fu uno degli ultimi grandi eventi che alimentarono la fantasia popolare con le parole e l’enfasi, più ancora che con le immagini.
Troppa, probabilmente. Come del resto richiedeva una spedizione organizzata con direttive e gerarchie "militari", che non svelò immediatamente i nomi dei due conquistatori, perché quella doveva essere una vittoria italiana. Di tutta l’Italia. Anche per questo si decise di tirare una riga sopra una presenza fondamentale, sul lavoro sotto la cima di Walter Bonatti e dello sherpa Mahdi, su quel loro bivacco ad altissima quota, senza riparo né materiale adatto (nel ’54!), senza tenda né ossigeno, su quanto videro da vicino la fine. E ci sono voluti la tenacia, la magnifica testardaggine, l’onestà e il rigore intellettuale di Bonatti, un grande italiano, per rimettere a posto la storia. Il suo lavoro, alla fine, è stato riconosciuto ufficialmente dalla revisione dei saggi del Cai, arrivata con oltre mezzo secolo di ritardo a spazzare via tutto, omissioni, versioni errate, imbarazzati silenzi.
Intanto, però, Lino Lacedelli si era tolto di dosso il suo peso. Nel 2004, proprio nell’anno del cinquantenario, aveva pubblicato un libro-intervista, "K2, il prezzo della conquista". E questo diceva, in quella lunga e bella confessione: di quanto costa una conquista che serve a un’intera nazione, di quello che si può e non si può dire, anche se si vorrebbe farlo. Soprattutto, Lacedelli diceva in quelle pagine che Bonatti aveva e ha ragione, nella sua spasmodica ricerca della verità durata una vita intera. Sotto questo aspetto, quel successo è costato a tutti: amicizie distrutte, venti impetuosi di polemica, uomini contro. Lacedelli ha detto la sua verità, con quel libro: c’è voluto tempo, ma il peso sulle spalle e nell’anima era immenso. E quando si parla per riaggiustare le cose, non è mai troppo tardi.
Il K2 si è preso questo cortinese solido come la roccia, l’ha inglobato nella sua leggenda. Lacedelli l’antieroe, che già tante imprese aveva fatto sulle sue montagne, fin dal ’47, in quella spedizione himalaiana aveva lavorato con entusiasmo, senza risparmiarsi, proprio come Bonatti. Desio aveva probabilmente un altro progetto in mente: il designato, per lui, era Compagnoni. L’evolversi della situazione, negli ultimi giorni prima dell’assalto, sembrava favorire Erich Abram. Lino saliva, scendeva, si prodigava. In forma splendida. Il destino decise che sarebbe toccato a lui. Facendo dell’antieroe una leggenda. E lui, con quell’ultima testimonianza dopo mezzo secolo di silenzio, vissuto lontano dai riflettori e nell’amarezza della polemica, ha fatto una scelta di coraggio. Da uomo onesto.
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