Il destino non si cambia

 

Quante ne ho messe, qui sopra, di foto tue? Allora, stavolta cambio le regole del nostro gioco. Metto la foto di quel paio di cose che ci univa, ogni dannato mercoledì a pranzo. “Con qualsiasi condizione climatica, bisognerebbe dire”. Oppure, parafrasando quel genio di Jannacci: “In caso di maltempo, l’ostaggio sarà rilasciato lo stesso”.

Stesso menù e stesso copione. Ai tempi della Mura, da Romano, e più tardi all’Arci sopra San Lazzaro. Dalle caprette, per intenderci. Tagliatella al ragù e un bicchiere di rosso. Beh, magari due.

Io arrivavo da poco lontano, tu da Medicina, eppure eri sempre lì per primo. Su quel muretto, seduto a leggere il giornale mentre aspettavi. E la risposta pronta, sempre la stessa. “Aspettavi da molto?”. “No, sono appena arrivato”. Solita balla a fin di bene, ogni volta eri lì almeno da venti minuti.

Non ci siamo mai capiti tanto come in quei pranzi del mercoledì. A volte anche senza troppe parole. Forse perché eravamo diventati due uomini adulti, con le loro speranze e le loro paure, domande sul futuro e qualche dubbio sul passato. Stessa filosofia, poi: quel che è fatto, è fatto. Il destino non si cambia.

E’ stato bello, anche nei silenzi. E’ bello anche parlar di niente con tuo babbo.

Ah, ti aggiorno: qui c’è la guerra, lo so che mi risponderesti che la guerra non è mai finita nel mondo. E’ che stavolta è dietro casa, fa un effetto strano, anche se il risultato è sempre quello: la gente muore abbandonata per strada, senza più casa, senza più futuro.

Già, il destino non si cambia.

Oh, mi conosci: non ti penso solo il 19 marzo. Anzi, non ti ho mai pensato come da quando non ci sei. Saremo stronzi, noi cosiddetti cervelli pensanti?

 

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