L'assegno in fondo alla volata

 


Domani a Modena si corre la Corrida di San Geminiano, nel giorno del patrono.
Una classica. E anche una delle cinque-gare-cinque che mi sono rimaste in testa dal primo all’ultimo metro. Le più belle della mia antica vita di atleta, per un motivo o per l’altro.
Era il 1980, stavo lì ad aspettare il via appena dietro Venanzio Ortis, uno dei miei miti di allora. Avevo vent’anni, accidenti. Vivevo da solo, nella casa di via Maifredi alla cinta di Massarenti, due passi da via Rimesse. L’affitto lo pagava mio padre, forse mi voleva libero come aveva sempre sognato di essere lui; il resto me lo procuravo con i primi lavori e un po’ di ripetizioni di italiano e storia.
Non ho mai corso per i soldi, ma quella era una classica nazionale e quando mi dissero che premiavano con un rimborso spese i primi trenta, beh, ci feci un pensiero. Ma un attimo, il tempo di sentire lo sparo del via.
Venanzio andò via subito, e lo sapevamo. Era destino che andasse a vincere.
Ma io ricordo la più lunga, terribile eppure meravigliosa volata della mia carriera.
Mancavano due chilometri e mezzo alla fine, ero dentro un gruppo di sette e non avevo idea della posizione. Uno spettatore lungo il percorso incitò Erio Venturelli, idolo locale, e gridò: dai, che sei nel gruppo dal ventisettesimo al trentatreesimo! Ci guardammo. Quattro sarebbero finiti nei trenta, tre sarebbero rimasti fuori. Senza dirci nulla, capimmo che la volata sarebbe partita da lì.
Sette minuti senza respiro: cuore che scoppia, tentazione di mollare, adrenalina a mille per andare avanti. E gli ultimi metri, sprint secco in fondo a uno sprint infinito. Sul traguardo mi misero in mano un foglietto con l’ordine d’arrivo. C’era scritto: Trentesimo.
Andai a casa con una busta, dentro c’era un assegno di trentamila lire. Mi sentivo forte, e i soldi non c’entravano. Immaginavo che di lì a un paio d’anni avrei spaccato il mondo. E poi sì, facevo anche un po’ di conti: per tre settimane avrei campato alla grande, e quella sera avrei festeggiato con i suvlaki del bar Diana e una birra rossa. Roba da professionisti.

 

 

Commenti

Post popolari in questo blog

Bonatti, un grande italiano

Lacedelli, antieroe nella leggenda

Perché vivo