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Ricorrenze

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  Ci fa paura quella parola, ci costa fatica pronunciarla, prendiamo sempre altre strade e anneghiamo il dolore in un bicchiere, in un sogno improvviso. I miei morti sono morti, nemmeno da ieri, e non riesco a immaginarli in qualche cielo, su qualche isola felice mentre osservano rassegnati questo mondo incattivito. I miei morti sono qui, nelle cose che faccio, nelle parole che spendo, nelle persone che incontro e in come le affronto. I miei morti sono io, gli ideali in cui credo, i sorrisi che spendo, le rabbie e le sconfitte. Sono la mia terra e il mio mare, sono l’isola lontana dove vorrei addormentarmi, sono le onde che mi tengono sveglio col loro canto sommesso. I miei morti sono il futuro, le cazzate e i colpi di genio, se arrivano, sono le certezze e i timori, sono quello che mi hanno insegnato. Restano con me, semplicemente, non un giorno dell’anno, non un anno nel tempo. Sempre. I miei morti sono vivi. (mt)

Tutto compreso

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E poi confesso che mi piace tirarmi su molto presto di mattina, indossare questa maschera da beatnik che sopravvive al tempo. Praticare gentilezza, rimpiangere di tanto in tanto certi giri a vuoto ma tutto sommato galleggiare, azzerare ogni forma d’invidia, piantare bandierine su progetti eternamente incompiuti, collezionare foto di cadute e rinascite, appuntamenti mancati col destino. Ma sì confesso che mi piace che la cassiera del market continui a darmi del tu, o la faccia sorpresa del vicino quando gli dico che nei suoi magici irrisolti anni Ottanta ero già militeassolto. È che alla fine sono i dettagli a interrompere la magìa. Un ginocchio che cigola, un passo a vuoto, quel cazzo di gradino calcolato male, l’incertezza di un risveglio. Allora maledico questo tempo e la sua fottutissima fretta Mi domando dove mai dovrà correre dove vuole arrivare e se davvero ha intenzione di arrivarci senza me. Faccio la solita conta di oggetti e capelli smarriti,

Cromatismi

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  Eri vestita di giallo. Strano, per te. Ma il passo era quello di sempre. Veloce, scomposto, ciondolante, come fosse schiacciato da pensieri, ma escluderei rimorsi. Tutto sommato l’andamento di chi va dritto per la sua strada e se ne frega se tutte quelle sicurezze tolgono ossigeno, che poi ci pensi col mestiere a ridarlo. Dietro compenso. Eri vestita di giallo e ho pensato che a volte i sogni hanno cromatismi troppo volgari. Gran fortuna svegliarsi finché si può.

Invasori

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  Io dico non voglio guardarli e cambio canale. E invece bisognerebbe star lì con occhi vigili. Perché è nell'ignoranza che si sono fatti grandi e forti. Perché stanno arrivando. Perché sono già qui. E siamo noi che li abbiamo fatti entrare. Voltandoci. Guardando altrove mentre entravano in giardino mentre calpestavano il prato mentre ridevano di noi. (mt)

Mario

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  Stanotte ho sognato Mario. Il vicino della casa dove sono cresciuto, lì davanti al grattacielo, che poi era alto una cosa giusta ma a quei tempi sembrava racchiudere tutto il futuro. Ho sognato Mario sulle scale con la sua canottiera, e non era mai successo, e saranno vent'anni che ha piegato il fazzoletto. Un sogno così strano che appena svegliato mi sono detto ora lo racconto a qualcuno. Ma ho pensato che non c'è più nessuno di quelli che lo conoscevano. Mio padre, mia madre, andati sulla strada che non ha risposte, almeno non per me. Figurarsi mio nonno, l'unico che era proprio suo amico e si chiamava come lui, Mario. Ma ho pensato che ci dibattiamo nella vita, ci affacciamo a ogni finestra, sorridiamo confidenti in favore di obiettivo, ma poi in qualche giro di anni non ci sarà più nessuno a ricordarsi di noi. Continueranno a correre, a sgomitare per emergere senza voltarsi indietro e a noi non resterà nemmeno quel tramonto su

Un'altra

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  Quando sei un bambino impari che ci sono tre dimensioni. Altezza, larghezza e profondità, come una scatola da scarpe. Più tardi capisci che c’è una quarta dimensione, il tempo. Hmm. Poi alcuni dicono che forse ce ne sono cinque, sei, sette… Stacco dal lavoro, mi faccio una birra al bar. Guardo il bicchiere e mi sento contento Ron Padgett

Le parole

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  Ti sbagli se credi di ingannare la gente usando le parole. E’ inutile addolcirle fare il gesto di togliere il peluzzo al bavero del vicino. Le parole vanno dirette al loro scopo, hanno solo un padrone che è il tuo volto. Le parole entrano dovunque fendono le porte le parole sono di sangue sono cattive le parole bruciano a fuoco e se sei vile ti torcono come un ramo sulla fiamma. Nino Pedretti  

Requiem notturno

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  Non ho messo la testa a posto, non stupitevi. È solo che i miei pusher sono tutti morti. Uno dopo l’altro, nemmeno una riga in cronaca, un trafiletto. Normale, non ce n’è uno che abbia chiuso da guerriero, o da pirata. Se ne sono andati all’ennesimo tagliando, di vecchiaia, normali impiegati degli abissi in cui mi avevano cacciato. Non sono diventato un bravo ragazzo, tranquillizzate le vostre figliole, che si incamminano sulla retta via sognando giardini nascosti in cui combattere la noia. Non tiro più tardi la notte, non reggo più l’alcool e meno che mai le compagnie monotone, e verso mezzanotte - un po’ come quell’arrivista di Cinderella - mi ritrovo con zucca e topolini e attacchi di inarrestabile sonnolenza. E sappiatelo, voi che siete così sicuri di avermi tirato dalla vostra parte, che se cammino sul sentiero dei saggi, - e non ancora sulle acque, ma vedrete che prima o poi ci arrivo -, è solo perché i miei pusher sono tutti morti, uno dopo l’altr

Abitudini

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  Non serve abbassare lo sguardo, evitare di cadere negli occhi di chi sa quel che vali, fingere di avere qualcosa di urgente da fare. O forse sì, in qualche modo. Aiuta a nascondere quello che sei, il niente che hai costruito, il fango in cui ti dibatti. Aiuta a darsi una ripulita lasciando poche tracce dello sporco dell’anima. Ecco, è così che si riparte per il prossimo inganno. (mt)   (foto di Paolo Domesi)

Oh Pà!

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  Io ci vengo sempre, qui. Anche adesso che so che non arriverai, ma in qualche modo arrivi sempre. Sorrido pensando a certi piccoli dettagli, ai numeri che scorrono e ricorrono: che oggi sarebbero novantatré, che te ne sei andato da sedici, che ormai anche io sono arrivato a sessantaquattro. Qualche giorno fa intervistavo uno della mia generazione, che ha passato una vita sui campi di pallone e scherzando mi ha detto “anche tu come me: stiamo giocando il girone di ritorno”. Ho pensato che in fondo la vita si può raccontare con immagini semplici. Che vale la pena giocarsela fino in fondo, provando a fare classifica. Non è cambiato granché, nel nostro posto magico. Si respira ancora solidarietà, in fondo ci si sente su un’isola perché fuori sentirsi “sociali”, coinvolti, anche solo compassionevoli è diventato un lusso. Ormai il presepe resta tutto l’anno, smontarlo e rimontarlo ogni volta sarebbe una fatica inutile, tanto le solite fonti ben informate ci dicono che arriverà un altr

Mutamenti

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  Allora procedi. Riprendi in mano qualche classico, non importa se ha fatto il suo tempo. Riascolta Chet e le sue imperfezioni. Cammina di sera, meglio ancora se sconfina nella notte. Non cercare il controllo delle parole, insomma se ti va dì pure qualcosa di nuovo, di tanto in tanto. A costo di vergognartene, poi. Azzera gli impegni. Respira profondamente, ma senza andare in iperventilazione, se possibile. Siedi sulla riva del fiume anche se il fiume non c’è, fai di tutto per restare il ragazzo che sognava troppo, il poco di buono che tutti conoscono, il compagno inaffidabile ma generoso, scontroso ma gentile, bravo ma basta. Aspetta bene o male il karma maledicendo il ritardo, specchiati nei fallimenti e se proprio non puoi evitarlo concediti sprazzi di invidia, ma dosali e mescolali a quella strana e indecifrabile autostima. Fingi di volare alto, e intanto infangati strisciando, sii sempre altro da quello di ieri. Diventa grande se ti va, ma se

Ad alta voce

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Quarant’anni che cerchiamo in ogni pietra, in ogni crepa, nelle linee sui muri, nelle macchie sui vetri. Nelle ombre che prima erano corpi, nei silenzi che prima erano vita. Quarant’anni che cerchiamo perché in ogni maledetto buco può rintanarsi una risposta, e le risposte non chiudono le ferite ma aiutano, almeno, a sopravvivere. Quarant’anni che sappiamo quello che ci hanno nascosto, che ci facciamo forza, che contiamo i caduti di una guerra fatta di bugìe, rabbia e dolore, una guerra indegna, una guerra dove il nemico non ha nemmeno il coraggio di guardarti in faccia. Quarant’anni per una verità è sempre troppo tempo, sempre troppo tardi. Scrivetelo adesso, scriviamolo, nero su bianco, chi, come, perché se mai esiste un perché, scrivetelo e non aspettatevi che noi si smetta di gridare, perché solo questo ci è rimasto: gridare, gridare, gridare, per tenere accesa la memoria. Che non ci sarà più pace, e allora ci sia almeno il ricordo, ci sia sem

Strade

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  «Quien anda mucho y lee mucho, ve mucho y sabe mucho» Miguel de Cervantes  

Anniversari

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  Roba passata, gli anniversari. Anche quelli scomodi, anche quelli cattivi. Perdite di tempo, per quelli che bruciano, feriscono e corrono avanti, corrono via. Che un giorno, quando si fermeranno, si volteranno indietro e fisseranno il vuoto. E poi scopriranno che quel vuoto è dentro, è tutto ciò che hanno lasciato del loro passaggio. Ecco perché io le sfoglio sempre, certe date. Aiutano a non scivolare. A non sentirsi così inutili. A non cadere più dentro un oceano di inganni.