Camera 3, letto 3
Un mondo
nuovo. Un altro mondo. Quello che succede fuori scivola via, della vita che
scorre arrivano soltanto frammenti, e non c’è il tempo per rifletterci. Qui c’è
un mondo piccolo, una finestra che guarda sul solito angolo di cortile, e più
in là appena pochi metri di portico. Via Albertoni: almeno ti sembra di capire
dove ti trovi, ma non è precisa nemmeno quella sensazione.
Camera 3,
letto 3. Anche la notte passata in Recovery Room eri lì a pochi passi, stesso
piano e qualche decina di metri da percorrere, ma ti sembrava di essere chissà
dove. Soffitto, finestra, infermiera del turno di notte. I richiami della pompa
da infusione, uno strano senso di quiete. Poi quella che chiamano degenza, un
viaggio minimo fatto di minime conquiste, che altri interessi non ci sono,
adesso.
“Sei andato
di corpo?” è la domanda delle sei del mattino. Il mantra della cacca. Lo
chiedono a te e poi a Nicola, che sotto i ferri c’è stato il doppio, e ancora a
Luigi. E poi ancora a te, nel giro seguente, e nell’altro ancora, come se tutti
fossero interessati a quei tuoi brevi viaggi verso il cesso. Viaggi pieni di
impedimenti: se ti alzi dal letto, ricordati di staccare la pompa, portati
dietro tutti i fili, fai in modo che non si intreccino tra di loro. Fatti un
elenco dei movimenti da mettere in fila, uno dopo l’altro, e cerca di non
pisciarti addosso lungo il tragitto.
Camera 3,
letto 3. Dove si lotta con gli sbalzi di umore, dove la distanza tra il crollo
psicologico e la rinascita sta dentro una manciata di ore. Giovedì sera: non
sai quando ti leveranno questa dannata CVC, non sai quando riprenderanno ad
alimentarti, dopo tre giorni di digiuno, non sai se davvero queste ore in sala
operatoria hanno risolto il problema. Nessuno fa vedere le sue carte, nessuna spiegazione.
Si naviga a vista, marinaio… Venerdì mattina sei sempre in quel loop, e il
cielo sopra Bologna è grigio da sembrare sporco. E invece, improvviso arriva un
giro-visita che sembra una vincita alla lotteria. Via tutti quei cavi, una
brodaglia al vago profumo di carne che non c’è cazzo di menu di Masterchef che
abbia quel sapore. E la mousse di mela, anche, che fuori da qui non mangeresti
nemmeno con una pistola puntata alla tempia. Sapore di rinascita, di ritorno.
Eri all’ennesima curva, spingevi sui pedali col cuore scoppiato, stavi per
mettere il piede a terra, quando dietro l’angolo hai visto la strada farsi
pianeggiante, e poi infilarsi giù. In discesa. Eri al limite, hai scollinato. E
non lodarti troppo, che non sai neppure il perché…
Camera 3,
letto 3. Ascoltare le storie di Nick e Luigi con la voglia di ascoltarle,
sorprendersi piacevolmente di questa sintonia, di questo cameratismo nato per
caso e per bisogno, più profondo di legami convenzionali che durano da anni. Un
rapporto che forse svanirà, un giorno, ma ora ti sembra in grado di reggere il
peso degli anni, perché hai condiviso con persone che nemmeno conoscevi gli
attimi più duri e delicati della tua esistenza. E allora adesso non possono più
essere persone sconosciute. Hanno dentro un pezzo di te, e tu un pezzo di loro.
Fuori è
sempre grigio da fare rabbia. La finestra ti regala come ogni mattina il solito
angolo, dove ogni tanto passa qualcuno a gran ritmo, quasi di corsa. Forse in
ritardo. Non riesci a capire, adesso, tutti questi ritardi e questa fretta che
non dà il tempo di pensare. Gli stessi che ti affogavano, fino a poco tempo fa.
Sarà perché tu sei arrivato puntuale a questo appuntamento. Né troppo presto,
né troppo tardi. Al momento giusto, ed è stata la tua fortuna. Ancora, non
darti troppi meriti: hai avuto culo, e stop.
Così adesso
tutti quelli che corrono, là fuori, ti sembrano dannatamente fuori tempo.
Marionette sgraziate, sfigurate dal peso dei giorni. Le guardi da lontano, da
una finestra a cui non avresti mai pensato di doverti affacciare. Forse un
giorno tornerai dentro quel frullatore, dove anime e sentimenti perdono colore
e senso. Adesso non riesci a capirle, e non hai nessuna voglia di capirle. Sei
in una stanza d’ospedale, ed è come se fossi sdraiato sull’erba di primavera a
guardare il cielo. Bello pigro, senza niente altro da fare. Non ci sono
domande, non ci sono risposte. Solo la tua inadeguatezza, che finalmente non
chiede di essere capita, o compatita, o messa in discussione. Solo la voglia di
accarezzare ancora un po’ questa vita. Che ha un sapore impareggiabile, anche
adesso che è novembre.
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