Alex Schwazer accende Bologna
Alex Schwazer a Bologna. Nella caserma di via delle Armi, al Molino Parisio, sede del 5° battaglione e soprattutto del Centro Sportivo Carabinieri, un luogo storico per l'atletica bolognese ed italiana. Il campione ci ha rimesso piede per la prima volta dopo i giorni di Pechino, portando con sè una medaglia d'oro che è storia anche qui, anche per una società che di premi e medaglie, in quarantatrè anni di vita, ne ha accumulati tanti. Mai un'oro olimpico, però. Anche per questo Alex, vincitore della 50 chilometri di marcia alle Olimpiadi, è nella storia. E giovedì mattina lo hanno premiato in tanti. I vertici dell'Arma, naturalmente. Ma anche il sindaco di Bologna, Sergio Cofferati, che gli ha consegnato uno dei massimi riconoscimenti destinati a chi fa brillare il nome della città nel mondo, la Turrita d'Argento. C'erano, a far festa al ragazzo di Cadice, prefetto e questore, la presidente della Provincia e quelli di Coni e Federatletica. E c'era addirittura un presidente nuovo di zecca, quello di un'altra società storica che l'anno prossimo festeggerà i suoi primi cent'anni: Francesca Menarini, numero uno del Bologna Fc 1909.
Accanto a Schwazer, commosso, Vittorio Visini. Per anni è stato il responsabile della squadra, dopo una carriera brillantissima (67 maglie azzurre) nella stessa specialità del ragazzo che ha raccolto l'oro di Pechino. Di più: Visini, oggi tra i responsabili del settore marcia in Nazionale, è insieme a Sandro Damilano colui che ha convinto Schwazer a riprendere la strada dell'atletica, dopo che il ragazzo aveva deciso di provare col ciclismo. Lui gli ha offerto, nel 2004, un posto nei Carabinieri, dandogli la possibilità di fare dello sport un mestiere.
Accanto a Schwazer, commosso, Vittorio Visini. Per anni è stato il responsabile della squadra, dopo una carriera brillantissima (67 maglie azzurre) nella stessa specialità del ragazzo che ha raccolto l'oro di Pechino. Di più: Visini, oggi tra i responsabili del settore marcia in Nazionale, è insieme a Sandro Damilano colui che ha convinto Schwazer a riprendere la strada dell'atletica, dopo che il ragazzo aveva deciso di provare col ciclismo. Lui gli ha offerto, nel 2004, un posto nei Carabinieri, dandogli la possibilità di fare dello sport un mestiere.
Schwazer è uno che non dimentica. E, come ha spiegato nell'intervista riportata qui sotto, che ho raccolto sulle pagine del quotidiano per cui lavoro, sente un debito nei confronti del CS Carabinieri. E per questo ha nel cuore Bologna.
(le foto delle premiazioni sono del mitico Luca Sgamellotti...)
Schwazer, l'eroe di Pechino si racconta
IL MIO GRANDE SOGNO NON E' ANCORA FINITO
Marco Tarozzi
Alex Schwazer sorride allegro mentre raccoglie l'applauso di chi conosce la sua fatica, i compagni di squadra che sono tutti lì a festeggiarlo. Gli altri sei della spedizione olimpica (Obrist, splendido finalista dei 1500, e poi Kircher, Talotti, Villani, Cafagna che ha condiviso le fatiche della 50 chilometri di marcia, Micol Cattaneo), colonne della squadra come Paolone Dal Soglio, Diego Fortuna e Nicola Ciotti, grandi ex come Marcello Benvenuti e Gianni Bruzzi. Sorride, il campione, e forse pensa che il difficile viene adesso. Ora che tutti lo vogliono, lo cercano, lo tirano per la maglia, lo invitano a serate di gala e premiazioni.
"Dovevo aspettarmelo. E accetto di buon grado, anche se mi sono dato un limite. L'agenda adesso è piena, ma tra un mese non ne avrò più bisogno. Basta feste, torno a pensare da atleta. Ma qui, in via delle Armi, sono venuto con orgoglio. Non mi stancherò mai di dire grazie all'Arma. E lo dico anche a nome dei miei compagni. Quando hai diciassette, diciotto anni e vorresti fare della passione una professione, a salvarti sono i gruppi sportivi. Altrimenti, fare sport ad alto livello sarebbe impossibile. Uno non può lavorare sette ore e poi allenarsi al meglio. Senza i Carabinieri non sarei qui oggi. Nel 2004, indossando questa maglia, ho realizzato un sogno".
Un filmato gli riporta agli occhi e alla mente la marcia trionfale di Pechino. Pochi minuti, ma bastano. Certi attimi si rivivono sempre volentieri. "E quasi con la stessa emozione. Anche se dopo il ritorno ho avuto poco tempo per ripensarci. Ma presto quello che ho fatto avrà un'altra dimensione, e tutto sarà più chiaro. Accadrà quando riprenderò con gli allenamenti di sempre. In quei momenti, quando sei solo con te stesso, pensieri e ricordi si mettono a fuoco".
Il senso della fatica, per Alex, sta tutto lì. Nell'allenamento, nelle ore spese per coltivare il sogno e renderlo possibile. Qualcosa che gli è congeniale. "Ho capito durante la preparazione di essere sulla strada buona. Perché andavo ad allenarmi e mi divertivo. Il bronzo mondiale di Osaka mi aveva lasciato un po' di amaro in bocca, ma quando una gara è finita si volta pagina. Io l'ho fatto. Sono arrivato alle Olimpiadi con mesi di lavoro alle spalle".
Sorride, il campione. Ma sa bene che la vittoria è maturata dentro quella solitudine, in fondo a quel lavoro. "Ci sono abituato. Quando sono entrato nell'Arma, avevamo l'alzabandiera alle sette e io uscivo ad allenarmi alle quattro. Dicevano che ero pazzo. Ma la marcia è questo: ci si allena per mesi, intensamente, e si cerca di essere pronti per poche gare. Io a Pechino sapevo di essere pronto. In gara, poi, arriva la selezione naturale. Come nella giungla. Il migliore resiste".
Gli chiedono se il prossimo traguardo sarà il matrimonio, provando a introdurre l'argomento Kostner. Storia intrigante, da belli e vincenti. Ma Alex glissa. Senza abbassare gli occhi. E senza rinunciare alle parole. "Certo, marciare mi riesce meglio. Ma anche parlare mi diverte. Soprattutto, raccontare queste mie esperienze. La medaglia di Pechino, ma anche quello che c'è dietro. Per esempio, volete sapere com'è la mia giornata tipo? Mi alzo, mangio, mi alleno, mangio, riposo, mi alleno, mangio... Scherzo, naturalmente. Ma un fondo di verità c'è. Cinque ore di allenamento al giorno. E 9.000 chilometri da Osaka a Pechino. Mi sa che è arrivata l'ora di cambiare l'olio..."
"Dovevo aspettarmelo. E accetto di buon grado, anche se mi sono dato un limite. L'agenda adesso è piena, ma tra un mese non ne avrò più bisogno. Basta feste, torno a pensare da atleta. Ma qui, in via delle Armi, sono venuto con orgoglio. Non mi stancherò mai di dire grazie all'Arma. E lo dico anche a nome dei miei compagni. Quando hai diciassette, diciotto anni e vorresti fare della passione una professione, a salvarti sono i gruppi sportivi. Altrimenti, fare sport ad alto livello sarebbe impossibile. Uno non può lavorare sette ore e poi allenarsi al meglio. Senza i Carabinieri non sarei qui oggi. Nel 2004, indossando questa maglia, ho realizzato un sogno".
Un filmato gli riporta agli occhi e alla mente la marcia trionfale di Pechino. Pochi minuti, ma bastano. Certi attimi si rivivono sempre volentieri. "E quasi con la stessa emozione. Anche se dopo il ritorno ho avuto poco tempo per ripensarci. Ma presto quello che ho fatto avrà un'altra dimensione, e tutto sarà più chiaro. Accadrà quando riprenderò con gli allenamenti di sempre. In quei momenti, quando sei solo con te stesso, pensieri e ricordi si mettono a fuoco".
Il senso della fatica, per Alex, sta tutto lì. Nell'allenamento, nelle ore spese per coltivare il sogno e renderlo possibile. Qualcosa che gli è congeniale. "Ho capito durante la preparazione di essere sulla strada buona. Perché andavo ad allenarmi e mi divertivo. Il bronzo mondiale di Osaka mi aveva lasciato un po' di amaro in bocca, ma quando una gara è finita si volta pagina. Io l'ho fatto. Sono arrivato alle Olimpiadi con mesi di lavoro alle spalle".
Sorride, il campione. Ma sa bene che la vittoria è maturata dentro quella solitudine, in fondo a quel lavoro. "Ci sono abituato. Quando sono entrato nell'Arma, avevamo l'alzabandiera alle sette e io uscivo ad allenarmi alle quattro. Dicevano che ero pazzo. Ma la marcia è questo: ci si allena per mesi, intensamente, e si cerca di essere pronti per poche gare. Io a Pechino sapevo di essere pronto. In gara, poi, arriva la selezione naturale. Come nella giungla. Il migliore resiste".
Gli chiedono se il prossimo traguardo sarà il matrimonio, provando a introdurre l'argomento Kostner. Storia intrigante, da belli e vincenti. Ma Alex glissa. Senza abbassare gli occhi. E senza rinunciare alle parole. "Certo, marciare mi riesce meglio. Ma anche parlare mi diverte. Soprattutto, raccontare queste mie esperienze. La medaglia di Pechino, ma anche quello che c'è dietro. Per esempio, volete sapere com'è la mia giornata tipo? Mi alzo, mangio, mi alleno, mangio, riposo, mi alleno, mangio... Scherzo, naturalmente. Ma un fondo di verità c'è. Cinque ore di allenamento al giorno. E 9.000 chilometri da Osaka a Pechino. Mi sa che è arrivata l'ora di cambiare l'olio..."
(da "Il Domani di Bologna del 18 settembre 2008)
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