Venti secondi



Saranno stati venti secondi. Mica di più.
Va bene, mezzo minuto a dir molto.
Ma non credevo, tante cose.
E stupide poi, così stupide
che quasi mi vergogno
a pensarci. Come il cortile dei nonni
in viale Carducci, che sembrava immenso
e adesso l’ho rivisto, è diventato
roba di uffici e gente fighetta
che mangia insalate e tofu in pausa pranzo
e non c’è più storia, né l’odore di allora.
Come i burattini in piazza Trento e Trieste
col nonno che rideva, e non sapevo
dove fosse Trento, cosa fosse Trieste.
Come la sera sotto i portici di via Fondazza
che in fondo a quei portoni, diceva mamma,
ci abitano le streghe, così non correvo via,
e ancora adesso credo che qualcuna
ci abiti ancora.
Come la terrazza al mare da cui contavo
le auto che passavano, inventando tornei con niente,
perché non arrivava la Giulietta del veterinario,
quella che davvero aspettavo.

Come il plegin prima dell’esame
e tre notti su libri e cartine, e finalmente
il dannato riposo ad un tavolo di Vito.
Come lei, che prima giocava con me
e poi mi interrogava, senza sconti.
Come la corsa a perdifiato
giù per Mascarella, e quell’odore acre
di gas, o i pugni chiusi
- quello destro, sempre – camminando in silenzio
con Fabio, davanti alla stazione sventrata.

Come i libri di Ti Jean, come il poeta Gregorio
davanti a casa in via Manfredi
prima del reading, come Castelporziano
e i fischi ad Evtuschenko, che poi
chissà che aveva detto, non si sentiva un cazzo.
Come le corse pazze e il talento buttato,
come la neve da mangiare,
come la rabbia e la sconfitta,
come le lunghe strade d’America
e l’Irlanda da camminare,
come certi occhi - indimenticabili -
nel buio.
Come quando aspettavo Babbo Natale
e gli lasciavo il cicchetto sul tavolo
e lui lo seccava ogni volta, vero papà?
Come te, che non ho avuto neppure il coraggio
di stare lì, a vederti morire
e sono andato a lavorare
perché non mi parlavi più, e chissà
dov’eri ormai, pensavo, e invece
magari eri lì, che semplicemente
avresti voluto dirmi chissà quante cose

e non riuscivi.

Tutto in venti secondi, ecco, che adesso
sono io che non riesco a parlare
e non ne ho più nemmeno voglia.
Bilanci, per cosa? Quello che è fatto è fatto
staccatemi questi cazzi di fili,
lasciatemi piegare il fazzoletto,
non chiedetemi niente, non ho risposte
non ne ho mai avute, e adesso
meno che mai.
Lasciatemi partire, proprio a me
che so di andare in nessundove,
e che semplicemente
ho rimpianti per questo dono meraviglioso
e per come l’ho sprecato.

(mt)



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